Argentinidad

in una milonga a berlinoBibi canta el tango con voz de sombra, ma sa metterci dentro anche una luce d’allegria. Succede allora che al Pastis, questo buco di bar nascosto dietro al tappeto lucido della Rambla, una stanza  in cui il penultimo arrivato prende le portate sulla schiena da quanto è piccina, succede che Bibi si metta a giocare col pubblico. Il microfono comincia a girare come bottiglia piena, canta e beve il maestro Luján, e la signora basca una milonga, sorseggiano e gorgheggiano in coro le ragazze in prima fila, argentine, uruguaye, manda giù e fuma il vecchino asciugato come un feto, chiede ancora una volta con un filo di voce e catrame Mi Buenos Aires querido. Canto e mi sbronzo anch’io. Bibi mi inganna con i miei stessi occhi chiusi, piazza il microfono proprio dentro al mio buio, me lo ritrovo sulle labbra che già cantavano, puntato al viso come una lama sul ritornello di Naranjo en flor. Nelle note che seguono non c’è coscienza, vinta, cancellata dalla minaccia e dalla chitarra di Gaspar Müller, la tonalità è troppo alta ma non importa. Stento a crederci, ma mi sento al sicuro anche durante quei trenta secondi di nudo, troppo intimo l’abbraccio di una stanza, il pane comune d’una passione …como un pájaro sin luuuz. Finito. Applauso. Bibi attacca l’ultima risata della Milonga Sentimental.

Seduto sul bordo di Plaça Orwell mangio un tramezzino sotto il sole dell’una e mezza, non penso a nulla. Mi sorprende alle spalle la domanda di una voce femminile, accento argentino: “Ayer cantaste tango?“. Stordito, rispondo con uno sguardo perfettamente idiota e un mugugno alla ragazza che mi sorride dicendo “no eras tu?“. Mi ricordo che in effetti si trattava anche di me, in mezzo agli altri, la notte prima al Pastis. Annuisco, preciso che sono stati 30 umidissimi secondi di delirio.
Cantaste muy bien“, sorride ancora, torna al suo gruppo, seduto poco più in là, che mi riconosce e saluta da lontano. Li riconosco anch’io, stavano in piedi proprio alla mia sinistra, non sbagliavano un verso  tra le labbra socchiuse. In vacanza, a giudicare dalle macchine fotografiche, dai bermuda corti. Due coppie, per i sorrisi e le mani che si stringono attorno ai fianchi.
Tre minuti dopo la ragazza si stacca di nuovo dal gruppo, ha in mano dei fogli di carta. Si avvicina e mi porge quello che scopro essere un racconto.  Argentinidad, di Diego Grillo Trubba. Mi spiega che si tratta di un regalo per un amico che non ha incontrato, ha pensato di lasciarlo a me, che forse avrei gradito, che avrei potuto capirlo “Sos argentino o uruguayo, no?“.
No, italiano“.
Te gustará“.

Il gruppo si allontana, torna a perdersi nel labirinto. Leggo questa stramba storia di un tizio argentino, arrivato a Berlino senza soldi nè lavoro, a cui un gruppo di nerboruti tedeschi chiede lezioni di savoir-faire con le donne. “…nos interesaría que nos des clases donde expliques cómo ser como vos. Cómo ser argentino“.

4 Comments
  • Alfredo
    Posted at 13:45h, 27 Maggio

    Grande! Speriamo sinceramente di assistere a simili momenti anche in Sicilia.

  • mauro
    Posted at 14:01h, 27 Maggio

    Tutto ciò è meraviglioso …..

  • cirello
    Posted at 17:32h, 27 Maggio

    Ecco, dal canto mio queste cose valgono un viaggio. Ovunque si vada. Anche al bar sotto casa. No, non siamo soli.

    Ero per i vicoli di Monterrey non ancora inglobati dai grattacieli in stile gringos, saranno state le 7 di sera e il mio zainetto cominciava ad avere fame.
    Passa una macchina piuttosto malridotta con una ragazza la volante. Di quelle che son belle senza riuscire a spiegarne il motivo.
    Siamo finiti a bere birra e tequila in almeno 3 cantine diverse, parlando di musica e di altre cose che non ricordo. Come il suo nome. Non ricordo il suo nome.
    E la moleskine di quei mesi, unico testimone, è ormai nelle mani di altri.
    Il giorno successivo entrai nel primo negozio di musica e ne uscii con un doppio cd live acustico (Febrero 13) di Fernando Delgadillo.
    La ragazza aveva ragione.

    cy

    cy

  • maia
    Posted at 19:07h, 12 Marzo

    ….di quella sera al Pastis ricordo le emozioni che si leggevano sul viso del mio amico argentino e del vecchio maestro, età differenti ma lo stesso sguardo che si perdeva al di là di un Oceano al suono della profonda voce di Bibi…
    grazie per averlo raccontato