11 Ago 12 Fine di un vettore

Negli anni ho odiato la compagnia per i ritardi, ma in fondo un po’ l’amavo. E’ vero, non potevi fare programmi per l’arrivo, a meno di calcolare tre ore buone di margine. I prezzi non erano neanche così bassi, per essere una sedicente low cost. Eppure, se ti andava proprio male, ad arrivare in Sicilia ci mettevi comunque la metà del tempo che ci avresti messo prendendo il treno della disperazione. E arrivavi sicuramente più fresco. Per questo, quando la gente in coda all’imbarco sbraitava, io me ne stavo zitto. Il disagio era accettabile, in fondo.

Oggi, credo per miracolo, sono riuscito a salire su quello che si può considerare uno degli ultimi voli, se non proprio l’ultimo, Roma-Catania.

Fiumicino, ore 9 del mattino. Scendo dal Vueling delle sette da Barcellona e cerco di raccapezzarmi. Una signora molto gentile, quando mi avvicino al banco per chiedere informazioni sul mio volo, Il Wind Jet delle 19, mi dice di aspettare un attimo. Fa una telefonata e quando riattacca mi informa:

“Non ci sarà alcun volo alle sette. La faccio salire su questo che parte tra 5 minuti. Corra all’imbarco”.

Sull’aereo le hostess sono nervose, addirittura scortesi. Le poltrone sono sporche e consumate, i braccioli tenuti insieme dal nastro isolante.

Niente turbolenze, l’ultima W avanza senza scosse nel mattino limpido. A cinque minuti dall’arrivo, la voce rotta del comandante singhiozza “Stiamo per atterrare a Catania. Volevo dedicare questo volo al mio equipaggio”. Parte l’applauso. Mi giro e in coda, sedute nelle loro postazioni per l’atterraggio, le hostess piangono.

“Arrivederci”, dicono sull’uscio aperto sulla scala.

“Coraggio”, rispondo, stringendo loro la mano.

Non so ancora come tornerò a Barcellona. Pazienza.

Gli 850 dipendenti sul baratro della disoccupazione non sanno ancora dove troveranno il pane domani.