Oppressione, depressione (un brutto post)

television

Senza la televisione non potresti far niente. La televisione è una scatola, ed è una scatola magica, perchè c’è in tutte le famiglie. La accendi, e da casa ti vedono e diventi “popolare” […] Basta apparire“.

(Lele Mora)

“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi.[…] La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre”

Pierpaolo Pasolini, “Corriere della Sera”, 9 dicembre 1973

Non credevo che questo spazio avrebbe mai potuto ospitare, accanto alle parole tremendamente profetiche di PPP, una citazione di Lele Mora , uno che fino a due anni fa non sapevo nemmeno chi fosse. Uno che si professa candidamente mussoliniano, fiero della canzonetta fascista sul suo telefonino. Uno che fa l’agente, lo scopritore di talenti per la televisione. Un artigiano, in fondo, creatore di bambole, burattini e mostri. La posa forzatamente naturale con cui, in Videocracy, racconta il suo lavoro e il suo mondo (che è anche il nostro) è disarmante quanto illuminante. Dal concetto elementare dell’apparenza, dell’apparire, matura l’abbrutimento della società italiana, che guarda caso coincide con lo sviluppo dell’impero economico e con lo strapotere politico di Berlusconi. In questo forse consiste l’indiscutibile e diabolico genio dell’uomo di Arcore, l’aver saputo sfruttare un’ovvia riflessione sul  desiderio  del pubblico trasformandola scientificamente in intuizione, manipolazione dei sogni e delle speranze, profitto e consenso.
Già a metà della visione di Videocracy comincio ad accusare amarezza, inquietudine e nausea (e non dico per dire). Vorrei spegnere e dimenticare, ma non riesco. Passo dal pregevole montaggio serrato di culi e tette dei primissimi minuti, alle apparizioni dei peggiori stereotipi della tv e dell’Italia berlusconiana: le veline che hanno sudato a forza di pompini il loro posto nella gloria di uno studio televisivo, le aspiranti veline impegnate in improbabili provini e balletti in cui il corpo si decompone in gesti tra il ridicolo e il tragico, l’operaio insoddisfatto che si impegna per diventare un ibrido tra Van Damme e Ricky Martin, il karateka ballerino, un mutante da prima serata. E poi le tristi comparse attorno alla piscina di Mora, bellocci palestrati, “tronisti”, ex del Grande Fratello, anche loro col culo a noleggio. E le feste al Billionaire di Briatore, uno che frugherebbe pure tra le gambe di sua madre. E Fabrizio Corona, ricettatore di fotografie, il “robin hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso”, e tra le immagini vende anche la sua, fango nel fango d’un paese triste e perduto.

Perchè è questa la sensazione, finito il film, e più che una sensazione è un dolore fisico che non lascia dormire: questo paese è naufragato. E io non lo riconosco, non gli appartengo.

Se è vero che la televisione berlusconiana ha intercettato, accontentato e alimentato fino alla dipendenza i desideri più volgari della maggioranza degli italiani, il processo di impoverimento sembra adesso compiuto. E la miseria appare irreversibile. Come rovesciare, infatti, 30 anni e più di dittatura dello schermo, il potere violento, ma sottile e subdolo, di un elettrodomestico che, invece che  spia e intruso, è stato subito considerato oggetto di benessere, membro del nucleo familiare, riferimento educativo e informativo, pater e mater familias? Come invertire la putrefazione del sistema di valori, delle aspirazioni, del gusto estetico di un intero popolo se è proprio questo svuotamento che lo spettatore ha voluto e cercato? E’ una sfida impossibile, credo.  Anzi, non è nemmeno una sfida. Non credo che la condizione attuale possa mutare grazie a nuove circostanze o decisioni politiche, non credo che un governo illuminato possa cambiare, a forza di decreti, l’anima marcita di milioni di telespettatori. Forse qualcosa avrebbe potuto fare il sistema scolastico italiano, insegnando il diritto di critica e l’urgenza della bellezza e dell’amore. Ma anche la scuola è stata scientificamente condannata al fallimento.

Guardando Videocracy, una delle migliaia di aspiranti veline o un operaio da pressa frustrato dal lavoro non ci troverebbero nulla di inquietante. Gli sembrerebbe tutto assolutamente normale, come lo è, del resto, per una preoccupante maggioranza di telespettatori. Normale la mercificazione e il macello dei corpi, normale l’esaltazione del nulla, la finzione di scarsa qualità dei reality, l’ostentazione della ricchezza. Auspicabile il lusso, desiderabile anche un misero lampo di visibilità, come se alla vita dessero luce e colore soltanto i riflettori.
E non noterebbero forse nessuna relazione tra questo sistema e la concreta materializzazione di una dittatura.

In questo scenario non esistono guide etiche, ideali o voci autorevoli capaci di condurre le masse verso una redenzione culturale. Nessuno può pretendere di sapere cosa un popolo desideri davvero, tranne chi, come Berlusconi, ne ha ascoltato la pancia e lo scroto e ne ha saputo schifosamente approfittare. Siamo tutti coinvolti, siamo tutti massa. Tutti insieme abbiamo scelto la deriva. Qualunque atto di forza, qualunque rivoluzione, sarebbe impossibile, impopolare: allo spegnimento del grande occhio lo spettatore reagirebbe con violenza, un po’ come nel finale del Caimano di Moretti, vedendosi privato del suo ossigeno di apparenze, e del sacrosanto diritto a prostituirsi e sperare nei suoi 5 minuti di notorietà televisiva.

Mi torna in mente un pensiero truce, la forza della fame. Forse la gente smetterà di adorare il culo in diretta, e di sognare di offrire il proprio come sacrificio per il successo, quando non sarà il culo ma il pane a mancare.

Almeno finchè non si sarà nuovamente saziata.

4 Comments
  • riccardo
    Posted at 10:38h, 02 Ottobre

    la consapevolezza del sistema in se…ci portà a star male a vederne tutti gli aspetti..ci distorce la vision di un bel mondo dv si potrebbe fare molto di +..che guardare la tv…ma x me nn bisogna puntar eil dito avvolt eè l’mbiente avvolte sn le xsone si devono veere le singole realtà e verità…la morte e l’amore cambiano ogni cosa..
    e il passo che fai già pubbicando qualcosa con il mondo è una cos aimportante..
    continua così..

  • Alfredo
    Posted at 14:25h, 03 Ottobre

    Mi trovi abbastanza d’accordo con l’analisi, ma non del tutto con le conclusioni, che trovo troppo negative. E’ vero che si è verificato un impoverimento, forse un imbarbarimento, delle regole etiche. E’ vero anche che non ci si sorprende quasi di nulla. Ma penso anche che si tratti di una fase, e che come tale sia destinata a finire. Questo potrebbe portare ad una decadenza ancora più generale, ma le tante persone giuste, independenti, oneste ancora numerose (forse pure più numerose di qualche anno fa) mi fanno pensare che dalla merda possano nascere i fiori.

  • Mentrael
    Posted at 22:28h, 04 Novembre

    Vi staiu vulennu bbeni, i moti, di luce siano, e vorrei farvi leggere questa frase che visti poco fà:

    Solo colui che comprende la convenzionalità delle misure e supera le proprie paure del non misurato può considerarsi un vero Ricercatore.

    i moti di luce animano il vero Ricercatore di Verità, come anche il Rispetto del Buio.

    ciaao

  • mauro
    Posted at 09:50h, 21 Novembre

    Che dire… pane e circo hanno tenuto in piedi un impero per un pò….
    cambiano i tempi e gli spettacoli ma anche il pane…. ogni tanto il pane scompare e succede che l’uomo entra in crisi non credo si possa prevedere come evolva una crisi… almeno nella sua totalità.
    Credo che ci si possa attrezzare per avere più mezzi interiori possibili per rimanere in piedi sul ponte di un vascello in balia di una possibile tempesta. Certo chi vive di televisione e benessere effimero in una tempesta è tra i meno “Adatti ” a superarla… il senso di perdita penso che li affogherebbe…prima che il vascello sia del tutto capovolto meglio viaggiar leggeri