buenos aires 3 am

Dulce de leche

“Ya nunca alumbraré con las estrellas

nuestra marcha sin querellas

por las noches de Pompeya.

Las calles y las lunas suburbanas,

y mi amor y tu ventana

todo ha muerto ya lo sé“

Il Polaco Goyeneche canta e sputa sangue e rum ad ogni verso. E io rivedo Pompeya affacciarsi dal terriccio della sua gola. D’improvviso il cielo di latta di agosto vince a gomitate uno spazio tra i palazzi e rimane da solo, immenso e grigio cielo della penultima America. Cammino per Avenida Saenz, sui marciapiedi di facce scure. Nel silenzio esplode il ventre dei kioscos di incarti di merendine, di polvere, reggaeton e cumbia. E tu non ci sei, impossibile anche solo pensarti qui. Tu che mi hai insegnato a sparire.

Una paura cresce e mi addenta lo stomaco quando i volti si fanno più duri e i colori svengono. Il passato grida sotto ogni buca d’asfalto. Del tango riesco ormai a vedere solo le ombre sui muri, il ricordo di una città non più danzata ma presa a calci.

Tiro dritto verso Puente Alsina, miraggio bianco e giallo, le arcate due fauci sopra il Riachuelo immobile e marrone. La puzza di acqua marcia offende le narici come fondo di birra vecchia. Salgo le scale, mi sporgo a guardare giù e Buenos Aires si spoglia, sotto l’impermeabile e la pioggia sottile mostra una pelle escoriata di baracche, cartone, lamiera, mattoni a crudo, pneumatici. Non sei mai stata Parigi. Detriti. Macerie.

Mi aggrappo con stupido pregiudizio al mio niente in tasca, bassa tecnologia e stracci di carta e filigrana che sarebbero un giorno di pane per qualcun altro. Faticano gli occhi a trovare sollievo. E sono brutto e solo, così occupato a guardarmi addosso. Tanto da sentire lacrime affacciarsi sull’uscio, tanto da volerti abbracciare per potermi sentire al sicuro, stretto a un fantasma. L’ultima volta che i radar ti hanno intercettata, avevi una valigia troppo pesante e un biglietto di ritorno. L’aeroporto sembrava un reparto d’ospedale per amori terminali. E invece era già obitorio. Eri solo una mano bianca, sospesa a salutare. Avrei preferito un addio qualunque, senza teatro di posa.

Come testarda tra cocci di nubi, una luce mi tira i capelli, mi sottrae al ricordo di te. Vedo bambini e cani giocare nei cortili vicino all’acqua morta. Un cartello su una parete, parole rosse di vernice e mano grezza, dice: Helados, todos los sabores. E immagino quei bambini mangiare un gelato da pochi centesimi, ma buono come le mani che hanno pensato che ogni posto debba meritare il sapore denso ma fresco di dulce de leche, il diritto a una gioia piccola piccola. Appena un istante. Poi come da una candela finisce la fiamma e con il soffio scappo via anch’io. Mi lascio alle spalle quel vicolo cieco di fiume. Con la rabbia che mi serra i pugni cerco rifugio in un caffè, tra barbe incolte, giubbotti sgualciti. Chiedo un bicchiere di latte e miele, mangio una medialuna secca. Fuori dal finestrone una ragazza, i lineamenti seri da india, seduta al semaforo vende elastici per capelli e pinze e cerchietti colorati. Ha in braccio un neonato avvolto in una spessa coperta di lana. In mezzo all’incrocio, nel ronzio di macchine scarburate, tra gli occhi ciechi non trovano posto anche i miei. Io posso vederla. Si scopre il seno, lo avvicina alla bocca del bimbo che comincia a succhiare la vita. Penso ad un miracolo, mentre il sole al tramonto muove un altro passo in giù, scosta le nuvole, saltella sulle pozzanghere. Penso che adesso avrebbe più senso vederti tornare, perché tu possa sentire lo stesso tremore. Perché mi sia concesso ancora il diritto, la gioia piccola piccola di un tuo sorriso di fronte alla violenza di ogni pena e meraviglia, di ogni luce tra le crepe. Adesso che ogni cosa sembra sazia, potremmo forse invertire la fuga del cuore, avvolgere il tempo con la manovella di un grammofono. Vedremmo il quartiere, i muri che conosciamo. I compagni in carne ed ossa, i baci come lame di coltello. Mentre la città, tutta intera in quella coperta, scivola nel sonno più caldo, ci troveremmo a ballare a ritroso, in punta di piedi ma senza crollare.

Se l’amore fosse davvero più forte di qualunque paura, correresti a stringermi sul ponte che domina la nostra miseria.

1 Comment
  • Mauro
    Posted at 05:35h, 29 Novembre

    Spendo pochi aggettivi…. già sai…. un baciotto Mauro