“Ya nunca alumbraré con las estrellas

nuestra marcha sin querellas

por las noches de Pompeya.

Las calles y las lunas suburbanas,

y mi amor y tu ventana

todo ha muerto ya lo sé“

Il Polaco Goyeneche canta e sputa sangue e rum ad ogni verso. E io rivedo Pompeya affacciarsi dal terriccio della sua gola. D’improvviso il cielo di latta di agosto vince a gomitate uno spazio tra i palazzi e rimane da solo, immenso e grigio cielo della penultima America. Cammino per Avenida Saenz, sui marciapiedi di facce scure. Nel silenzio esplode il ventre dei kioscos di incarti di merendine, di polvere, reggaeton e cumbia. E tu non ci sei, impossibile anche solo pensarti qui. Tu che mi hai insegnato a sparire.


Mai dichiarare il proprio amore seduti sul sagrato di una chiesa. E se ci siete già cascati, rimediandone sofferenza al cuore e ai glutei, abbiate almeno l’accortezza di non commettere lo stesso errore una seconda volta. D’accordo, vi piace sfidare la sorte. Ma cercate di ricordare che una chiesa in cui ogni 27 di aprile si celebra, ininterrottamente da chissà quanti anni, una messa in suffragio di Benito Mussolini, non può che portarvi male.


Lo sognò bianco. Una enorme fontana di cristallo, i bagliori rosa del tramonto la accendevano in miliardi di gocce. Il corpo centrale un’alta torre cilindrica, decorata con fregi gotici, finiva in punta di campanile. In cima, tra gli archetti dove si sarebbero potute immaginare due campane in bronzo, un potente faro roteava il suo occhio verso l’oceano.


Passeggiano per i vialetti, sotto la volta scarmigliata degli alberi. Non hanno fretta. Scelgono una panchina, siedono, ridono, si baciano. Si rimettono in piedi e continuano a vagare per il parco, a guardare le foglie. Come nel loro Eden, sono soli. Tornano a sedersi, lui addirittura si sdraia, lei si mette per traverso, gli si appoggia sulla pancia. Si guardano da vicino, parlano, si accarezzano. Intanto una mamma, africana a giudicare dal suono della lingua, viene a pranzare. Suo figlio è un marmocchio in maglietta a righe a cui scappa la pipì.


En enero de 2011, los dedos se dejaron escapar este intento frustrado de cuento, incompleto y banal. En ello toma cuerpo una idea de ciertas historias de amor, su desarrollo y desenlace inexorable, su naturaleza ficticia.

 enTRENamiento

La mirada colgada afuera de la ventanilla, en los edificios que iban creciendo paso a paso. El Tigre ya agua de recuerdo, trás el último vagón. Uñas sin pintar, las manos quietas encima del vientre. Cansada en el tiempo vacío del transborde, los ojos bordeados de una belleza india, casi despiertos. Enloquecidos por el movimiento. Bajo el peso de las pestañas, espejos para un paisaje de seda y agujas.


 Senza consultare la metà che manca, mi permetto l'abuso di rendere pubblico questo canto forse incompleto, di certo incompiuto, scritto a quattro mani.

Mi disturbava che nessuno sapesse davvero cosa stava accadendo, che non si potesse dire, spiegare, nominare. Credo che questo rappresentasse parte del problema. Adesso penso sia giunto il momento di raccontare ciò che el astronauta y la bruja sono stati, o hanno immaginato di poter essere, almeno a parole.